Agata 33.09, Alabastra, 2017

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Di Antonio Indovino

Campania Falanghina IGP, Agata 33.09, Alabastra, 2017

Agata 33.09 Alabastra 2017

Metti insieme 2 grandi professionisti del settore: l’uno impegnato “a monte” per vigne e cantine, l’altra impegnata “a valle” dalla parte di chi il vino lo comunica. Mettici anche due caratteri, per quel che ho avuto modo di vedere, altrettanto diversi: lui che si distingue per il suo aplomb, lei vulcanica ed incontenibile col calice in mano.
Bene, i presupposti a quanto pare ci son tutti….anzi no: manca una vita trascorsa insieme, una famiglia, e la voglia di costruire qualcosa che fosse tutto Loro: dove mettere in pratica il know-how acquisito in 30 anni di esperienza e poter parlare finalmente a modo proprio.
Ecco, adesso ci siamo, è così che è nata Alabastra, l’Azienda di Lucia Pintore ed Angelo Antonio Valentino.

Alabastra è il plurale di alabastron, una roccia di origine gessosa o calcitica anticamente utilizzata per custodire liquidi ed essenze preziose. La sua struttura vuole allegoricamente ricondurre alla solidità di un’Azienda che, seppur giovane, ha delle basi forti per la grande passione e professionalità di Lucia ed Angelo. Per fare dei grandi vini ci vogliono dei grandi frutti di altrettante vigne, ed in questo Angelo ha fatto valere la sua conoscenza del territorio campano, selezionando vigneti da Torrecuso a Lapio, passando per San Paolo di Tufo e finendo a Taurasi, con un outsider che vuole ricordare ed omaggiare le origini sarde di Lucia: un vigneto sull’Isola Sant’Antioco.
Il puzzle è completato, infine, da una filosofia volta a perseguire l’identità del vitigno, in maniera netta e pulita, senza omologazione alcuna: e tutto ciò l’ho ritrovato senza dubbio nel bicchiere.

Quest’oggi, dinanzi ad un calice di Agata 33.09 targato 2017, sono qui a parlarvi di una loro Falanghina, di un Cru nel vigneto di Torrecuso, che ha dato vita a sole 2450 bt.
Il nome Agata è stato ispirato dal colore del vino e del suolo della porzione di vigna da cui nasce, che ha una matrice diversa, scistosa ed argillosa.
33.09, invece, è il nome del portainnesto poco vigoroso che regala, in quel terroir, una maturazione molto lineare delle uve!
In cantina niente di più di una classica vinificazione in bianco, in acciaio ed a bassa temperatura. La diversità del mosto di questo Cru ha caratterizzato il lento andamento della fermentazione, inducendo a protrarne la permanenza nei tini di fermentazione fino ai 10 mesi. Il lavoro di Angelo si è concluso con la stabilizzazione a freddo del vino e l’imbottigliamento a Marzo dello scorso anno.

Nel calice è tinto d’un giallo oro di grande vivacità, ed alla sua concentrazione cromatica fa eco una considerevole ricchezza estrattiva, riscontrabile nelle roteazioni del calice. Al naso il primo impatto è di ananas e susina mature, di fiori di ginestra ed origano: con un tocco minerale e di millefiori di fondo. Il sorso è pieno, ricco, avvolgente in prima istanza, poi sferzante per la grande feschezza e sapidità, ed impreziosito da una lunga chiusura in cui si ripetono principalmente gli aromi vegetali e minerali.

Una Falanghina di grande carattere e spessore, di quelle che conserverei molto volentieri in cantina per futuri riassaggi. Ho avuto modo di apprezzarla in un calice di media ampiezza ad una temperatura leggermente più alta per enfatizzarne la grande ricchezza glicerica, ben bilanciata dalla spalla acida.
A mio modesto parere è un vino che ben potrebbe figurare in accompagnamento ad un Soufflé al Formaggio.

Prezzo in enoteca: 20-25€
Contatti: www.alabastra.it

Antonio Indovino, Sommelier dello Yacht Club di Marina di Stabia,
Degustatore Ufficiale e Responsabile del GDS AIS Penisola Sorrentina

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Antonio Indovino sommelier nato a Vico Equense in provincia di Napoli è grande appassionato del mondo del vino, degli sport e di tutto ciò in cui c’è sana competizione.

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